Attendo
sciogliersi il beige delle schiavitù
nel barocco baciato dal sole,
Portafortuna al braccio,
tegole antiche alla finestra
e tappeti di storie, infinite storie.
Sei ancora a letto amico mio?
Qui si può osare,
scavalcare le opacità,
bere ancora
al calice della musica balcanica
che solo per geografia è lontana,
che nelle vene nostre
è troppo uguale
per senso di libero sentire.
La fessura dei silenzi
si stringe al lavorio dei pescatori
si espande al nero dei ciclopi
alla fuga di Ulisse e l’ira di Polifemo,
rifratte ovunque l’occhio si posi.
Questa terra di forza lavica,
fa l’amore con lo Ionio
lascia riflessi d’abbracci a chi la ama
e brace a chi non la conosce.
Valentina Gaglione
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Illustrazione: Fabio D’Angelo
Dannata fu l’erba,
di fuoco avvizzita
finché varchi di tempo
alle origini, condussero.
Dai profumi speziati
risalimmo le paludi dell’anima.
Osservammo lo scampato pericolo
nell’ammasso di lucciole al sole.
E in mezzo si scorse
l’androgino giardino
deformare silenzi in voluttà circolari,
al fiorire d’ogni prelibata bacca.
Stesi come luna gli amanti,
di vita e fragile carne,
si fecero ampolla e con essi
ibridi fiori e cristalli
di spigoli tondi.
Aedi, cantavano
e fianchi senza età
intorno danzavano.
Delizia fu premersi
in libido celeste,
elisir di ancestrali carezze
che su fonti di vino annegammo,
inchinati, bestie tra bestie.
E concesso ci fu senza remora
di osservare fauci di lupi
ricevendo in dono occhi notturni.
Poi l’acero cantò al ciliegio,
le parole non andarono via,
e la storia,
dal seme alla foglia,
capimmo.
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